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Al di là del principio di piacere – Sigmund Freud

[…] Questo, dunque, era l’intero gioco: scomparsa e ritorno. […]

E l’interpretazione del gioco scaturì allora naturale. Esso era in relazione con l’elevato grado culturale raggiunto dal bambino – la rinuncia alle pulsioni (o meglio la rinuncia al soddisfacimento delle pulsioni), che egli aveva dovuto sopportare, nel consentire alla madre di allontanarsi senza protestare. Il bambino si compensava, per così dire, dell’assenza materna, riproducendo, con gli oggetti che gli capitavano a tiro, la scena della scomparsa e della riapparizione.

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[…] Ma il fatto nuovo e notevole di cui dobbiamo ora tener conto è che la coazione a ripetere evoca dal passato anche esperienze che non comportano la minima possibilità di piacere, esperienze che anche negli antichi tempi non hanno mai dato soddisfacimento nemmeno alle pulsioni sessuali che furono, da allora, rimosse.

Lo sbocciare precoce della vita sessuale infantile è destinato a spegnersi, poiché i suoi desideri sono incompatibili con la realtà e col grado inadeguato di sviluppo raggiunto dal bambino. Questa fioritura appassisce nelle circostanze più tormentose, accompagnandosi a sensazioni tra le più penose.

La perdita d’amore e lo scacco subìto si lasciano dietro una ferita indelebile dell’auto-stima, sotto forma di una cicatrice narcisistica che, secondo me e d’accordo con Marcinovsky (1918), più di ogni altra causa contribuisce a quel «senso di inferiorità» così frequente nei nevrotici.

Le esplorazioni sessuali del bambino, cui lo sviluppo corporeo ha imposto un termine, non hanno portato a nessuna conclusione soddisfacente; di qui quelle successive lagnanze come: «Non sono capace di concludere nulla; non riesco in nulla». Il legame affettivo, che di regola legava il bambino al genitore di sesso opposto, soccombe alla delusione, a una vana aspettativa di appagamento, o alla gelosia causata dalla nascita di un fratellino, lampante testimonianza dell’infedeltà dell’oggetto amato. Il tentativo, eseguito con tragica serietà dal bambino, di fare lui allora un figlio, naufraga nella vergogna.

L’assottigliarsi progressivo dell’affetto ricevuto, le crescenti esigenze dell’educazione, le parole dure e qualche sporadica punizione, finiscono per rivelargli fino a che punto è stato beffato. E questi sono solo pochi esempi, fra i più abituali e tipici, delle modalità con cui termina l’amore specifico dell’età infantile.

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Tutto quel che segue è mera speculazione, spesso una speculazione spinta ad oltranza, che il lettore vorrà benevolmente prendere in considerazione o rifiutare, a seconda delle proprie inclinazioni.

Si tratta di un tentativo di metterci seriamente sulle tracce di una ipotesi, curiosi di vedere dove vada a parare.

L’indagine speculativa psicoanalitica prende le mosse dalla sensazione che si avverte quando si esaminano i processi inconsci, che la coscienza, invece di costituire la caratteristica più generale dei processi mentali, ne possa rappresentare solo una funzione particolare.

Parlando in termini metapsicologici, si può affermare che la coscienza è la funzione di un sistema particolare, designato con la sigla C.

Il contenuto della coscienza consiste essenzialmente di percezioni di stimoli provenienti dal mondo esterno e di sensazioni di piacere e di dispiacere che si originano esclusivamente all’interno dell’apparato psichico; è quindi possibile assegnare al sistema P-C (percezione-coscienza) una posizione nello spazio.

Detto sistema deve trovarsi sulla linea di confine che separa l’esterno dall’interno, deve essere rivolto verso il mondo esterno e deve includere tutti gli altri sistemi psichici.

Come si può vedere, non vi è niente di nuovo né di azzardato in questo assunto; abbiamo semplicemente adottato le teorie delle localizzazioni, proprie dell’anatomia cerebrale che, com’è noto, pone la «sede» della coscienza nella corteccia cerebrale, – lo strato più esterno e avvolgente dell’organo centrale. L’anatomia cerebrale non ha bisogno di chiedersi perché, in termini anatomici, la coscienza debba venire situata sulla superficie del cervello, invece di trovare più sicuro riparo nei più riposti recessi dell’interno. Forse, noi, col nostro sistema P-C riusciremo a giustificare una tale peculiarità.

Il fatto di essere coscienti non è l’unico tratto distintivo che noi attribuiamo ai processi che si svolgono in questo sistema.

Sulla scorta delle osservazioni che scaturiscono dalla nostra pratica psicoanalitica, possiamo ritenere che tutti i processi eccitatori che si verificano negli altri sistemi, si lasciano dietro tracce permanenti che costituiscono il fondamento della nostra memoria. Tali tracce mnestiche, dunque, non hanno niente a che vedere col fatto di diventare coscienti; che anzi, i più intensi e più tenaci di tali ricordi sono spesso proprio quelli lasciati da processi che non sono mai arrivati a coscienza.

È per noi, comunque, difficile ammettere che tali residui fissi di eccitazione possano restare a permanenza nel sistema P-C.

Se essi restassero sempre consci, la capacità del sistema a ricevere nuovi stimoli non tarderebbe ad essere limitata. Se, al contrario, essi fossero inconsci, noi ci troveremmo nella delicata problematica di spiegare come possano esistere processi inconsci in un sistema il cui funzionamento è per definizione accompagnato dal fenomeno della coscienza.

E allora con la nostra ipotesi di affidare a un sistema specifico il meccanismo per cui gli stimoli diventano consci, non abbiamo apportato nessuna modificazione né abbiamo avuto alcun vantaggio.

Benché una simile considerazione, a rigor di logica non porti a conclusioni definitive, essa, pure, ci porta a sospettare che i processi di diventare consci e quelli di lasciarsi dietro una traccia mnestica, siano incompatibili a vicenda e nell’ambito di un unico e medesimo sistema.

Noi potremmo allora dire che, per quanto concerne il sistema C, il processo di eccitazione vi diventa cosciente, ma non vi lascia alcuna traccia permanente; invece l’eccitazione viene trasmessa ai sistemi contigui ed è in questi che vanno ricercate le sue tracce.

Queste sono appunto le stesse direttive a cui mi sono ispirato nel raffigurare lo schema che ho inserito nella parte teoretica della mia opera sull’Interpretazione dei sogni.

Se teniamo presente quanto poco si può attingere da altre fonti circa l’origine della coscienza, bisognerà pur ammettere che la nostra affermazione: «la coscienza sorge al posto della traccia mnestica», meriti la debita considerazione se non altro perché è postulata in termini chiari e precisi.

Stando così le cose, il sistema C sarebbe allora caratterizzato dal fatto che in esso (a differenza di quanto si verifica negli altri sistemi psichici) il processo di eccitazione non lascia nessuna stabile modificazione dei suoi elementi, ma, per così dire, svanisce nel fenomeno del diventare cosciente.

Una eccezione siffatta alla regola generale non si può spiegare altro che con l’intervento di qualche fattore, specifico, che manca negli altri sistemi, e che potrebbe risiedere nella localizzazione particolarmente esposta del sistema C, per la quale esso viene a trovarsi in contatto diretto col mondo esterno.

Se volessimo semplificare al massimo l’organismo vivente potremmo raffigurarlo come una specie di vescicola indifferenziata di una sostanza che reagisce agli stimoli.

Ne consegue che la superficie rivolta verso il mondo esterno viene a differenziarsi per il fatto stesso della sua disposizione e funzionerà come organo ricettore degli stimoli. E in effetti l’embriologia, che ricapitola tutta l’evoluzione filogenetica, ci mostra che il sistema nervoso centrale deriva dall’ectoderma; e che la materia grigia della corteccia, provenendo dal primitivo strato superficiale dell’organismo, potrebbe averne ereditato qualcuna delle proprietà fondamentali.

Se ne potrebbe facilmente arguire che l’impatto incessante degli stimoli esterni sulla superficie della vescicola, abbia prodotto a una certa profondità modificazioni permanenti nella sua sostanza, di modo che i processi eccitatori assumono in superficie un andamento diverso da quello che si svolge negli strati più profondi.

Si formerebbe così una crosta, che alla fine sarebbe talmente ben «dorata» dagli stimoli che la colpiscono, da presentare le condizioni più favorevoli per ricevere sempre nuovi stimoli e da non essere in grado di subire ulteriori modificazioni.

Riferendoci al sistema C, ciò significa che, poiché i suoi elementi hanno ormai subìto le massime trasformazioni possibili, essi non possono più subirne altre al passaggio delle stimolazioni: ciò significa, altresì, che è nata la coscienza.

Il costituirsi della coscienza è dunque legato alla natura delle modificazioni, subite sia dalla sostanza che dai processi di eccitazione; ma circa la natura di questi cambiamenti si possono formulare diverse ipotesi che, per il momento, non possono essere verificate. Possiamo supporre che, nel passare da un elemento ad un altro, una eccitazione debba superare una resistenza, e la diminuzione di tale resistenza provoca la permanenza di tracce di eccitazione, in altre parole, una facilitazione.

E, dunque, alla fine, nel sistema C non esisterebbe più alcuna resistenza, e il passagggio da un elemento ad un altro si effettuerebbe liberamente.

Questo schema si può collegare alla distinzione già operata da Breuer, che negli elementi dei sistemi psichici, discriminava una carica energetica «quiescente» (o legata) e una carica energetica mobile; ora, gli elementi del sistema C non conterrebbero energia legata, ma esclusivamente energia libera, in grado di scaricarsi liberamente. Ma ci sembra più opportuno, allo stato attuale delle nostre conoscenze, mantenere su queste ipotesi l’atteggiamento più cauto possibile. Ciò non toglie, almeno, che le nostre speculazioni ci hanno condotto in qualche modo a collegare l’origine della coscienza sia alla peculiare posizione del sistema C, sia alle particolari modalità con cui vi operano i processi di eccitazione.

Ma altre osservazioni ci sono da fare sulla vescicola vivente, con la sua superficie corticale di ricezione degli stimoli. Questo minuscolo frammento di sostanza vivente si trova come immerso nel bel mezzo di un mondo esterno carico delle più potenti energie: cosicché non tarderebbe ad essere sopraffatto dall’impatto di stimoli così violenti, se non fosse dotato di uno schermo di protezione contro di essi. Questo sistema difensivo si forma in quanto la superficie più esterna viene a perdere i connotati della struttura organica vivente e diviene, in un certo senso, inorganica, in modo da funzionare come uno speciale involucro o membrana resistente agli stimoli stessi.

Ne consegue che le eccitazioni provenienti dall’esterno, riescono a farsi strada negli strati immediatamente più profondi, che hanno conservato una struttura vivente, avendo però perduto gran parte della loro iniziale energia.

Così, all’interno dello schermo di protezione, questi strati possono dedicarsi alla ricezione di tutti quegli stimoli cui è stato consentito l’accesso attraverso la barriera esterna.

Con il suo sacrificio, la superficie esterna ha dunque salvato gli strati più profondi da identica sorte; a meno che gli stimoli che la colpiscono non siano di una violenza tale da perforare lo schermo protettivo.

Per l’organismo vivente la protezione contro gli stimoli è una funzione quasi più importante che non la ricezione degli stimoli stessi.

Lo schermo protettivo è rifornito dalla sua propria riserva di energia e deve soprattutto sforzarsi di conservare le peculiari modalità di trasformazione dell’energia che in esso avvengono, sottraendole ai minacciosi effetti delle energie che, in modo massiccio, operano nel mondo esterno, effetti che tendono ad una azione dapprima livellatrice e, poi, distruttiva.

Lo scopo principale della ricezione degli stimoli è quello di scoprire la direzione e la natura degli stimoli esterni; e all’uopo basta prenderne dei campioni molto ridotti dal mondo esterno, cioè sperimentarlo solo a piccole dosi.

Negli organismi molto evoluti, lo strato corticale ricettivo di quella che fu la vescicola indifferenziata, si è da tempo ritirato nelle profondità interne del corpo; però alcune parti sono rimaste in superficie, immediatamente al di sotto dello schermo generale di protezione contro gli stimoli.

Si tratta degli organi dei sensi, che consistono essenzialmente in apparati destinati alla ricezione di certi stimoli specifici, ma che racchiudono anche speciali dispositivi di protezione contro un afflusso eccessivo di stimolazione, e di esclusione di stimolazioni non pertinenti. È caratteristico che tali organi sono impegnati solo con piccolissime quantità di stimolazioni esterne e che accolgono solo campioni del mondo esterno.

In questo si possono paragonare ad antenne, che cercano di mettersi continuamente in contatto col mondo esterno e che poi si ritirano.

A questo punto cercherò di avventurarmi brevemente in un argomento che meriterebbe più esauriente trattazione.

Certe scoperte che ha fatto la psicoanalisi, ci consentirebbero ora di imbarcarci in una polemica con il teorema di Kant, secondo cui tempo e spazio sarebbero «forme necessarie di pensiero».

Noi sappiamo che i processi psichici inconsci sono in sé «atemporali». Ciò significa, in primo luogo, che essi non obbediscono ad una sequenza temporale, che il tempo non può modificarli in nessun modo, e che ad essi non può applicarsi la categoria del tempo.

Tali caratteristiche «negative» dei processi inconsci possono essere comprese appieno solo mettendole a confronto con i processi mentali consci.

D’altra parte la nostra rappresentazione astratta del tempo sembra interamente derivare dalla peculiare attività del sistema P-C e dalla sua autopercezione di tale attività.

Tale modalità di funzionamento costituisce forse un altro modo di provvedere uno schermo contro gli stimoli.

Mi rendo conto che tali considerazioni appaiono francamente oscure, ma debbo limitarmi a questi semplici accenni.

Abbiamo fatto notare come la vescicola vivente fosse provvista di uno schermo contro gli stimoli provenienti dal mondo esterno; ed abbiamo già illustrato come lo strato corticale in contatto con tale schermo si sia differenziato per trasformarsi in un organo atto a ricevere gli stimoli dall’esterno.

Questo strato corticale sensibile, destinato a diventare il sistema C, riceve però anche stimolazioni dall’interno.

La peculiare posizione del sistema, alla frontiera tra l’interno e l’esterno, e la differenza tra le condizioni che regolano la ricezione della stimolazione nei due casi, hanno una importanza determinante sia per il funzionamento del sistema P-C, che per quello dell’intero apparato psichico.

All’esterno, c’è uno schermo di protezione contro gli stimoli per cui le eccitazioni in arrivo vengono notevolmente attenuate; ma, all’interno, non può esserci più tale schermo; cosicché le eccitazioni provenienti dagli strati profondi si propagano direttamente e senza nessuna attenuazione nel sistema P-C, al punto che certe loro caratteristiche suscitano sensazioni della serie piacere-dispiacere.

È opportuno però far notare che le eccitazioni provenienti dall’interno sono, e per la loro intensità e per certi loro aspetti qualitativi (come, forse, la loro grandezza), più adatte al tipo di attività svolta dal sistema P-C, che non gli stimoli provenienti dal mondo esterno.

Questo stato di cose conduce a due risultati ben definiti: primo, le sensazioni di piacere e dispiacere (che sono l’indice di quanto sta accadendo all’interno dell’apparato) dominano su tutti gli stimoli esterni; secondo, vengono adottate particolari misure con cui fronteggiare ogni eccitazione interna capace di produrre un aumento eccessivo di dispiacere: nasce così una tendenza a trattare tali eccitazioni come se provenissero, anziché dall’interno, dall’esterno, in modo da mettere in azione lo schermo descritto a difesa contro gli stimoli in arrivo. In questo meccanismo sta l’origine della proiezione, che è destinata a giocare tanta parte nel determinismo di certi processi patologici.

Mi sembra che con queste ultime osservazioni ci siamo avvicinati ad una comprensione più chiara del dominio del principio del piacere; ma nessun lume ci è venuto per quei casi che con tale dominio sono in contraddizione.

Conviene dunque spingersi di un passo avanti. Di solito, definiamo traumatica qualsiasi eccitazione proveniente dall’esterno dotata di energia tale da sfondare lo schermo di protezione. Ho l’impressione che il concetto di trauma può essere inteso solo mettendolo in rapporto con una breccia aperta in una barriera, un tempo efficace contro gli stimoli.

L’impatto di un trauma esterno è destinato a produrre un grave disturbo nel funzionamento energetico dell’organismo e a mettere in moto tutte le misure di difesa possibili. Contemporaneamente, il principio del piacere è momentaneamente messo fuori causa. Non esiste più alcuna possibilità di prevenire che l’apparato psichico venga invaso da una grande massa di stimoli; si presenta invece un altro problema, quello cioè di padroneggiare la massa di stimoli che ha fatto irruzione e di «legarli», nel senso psichico, così che se ne possa disporre in un secondo momento.

È probabile che la peculiare sensazione spiacevole connessa al dolore fisico sia dovuta alla rottura dello schermo protettivo in un settore limitato. Dalla zona periferica interessata si verifica allora un flusso ininterrotto di eccitazioni dirette all’apparato psichico centrale, proprio come succede per quelle che normalmente insorgono solo dall’interno dell’apparato stesso.

Ma come reagirà la psiche di fronte a questa invasione? Da ogni zona verranno mobilitate tutte le cariche energetiche e disposte in modo tale da provvedere ad un sufficiente investimento energetico nelle vicinanze della breccia.

Si organizza così un possente controinvestimento, che impoverisce tutti gli altri sistemi psichici, in modo tale che tutte le altre funzioni psichiche sono gravemente paralizzate o ridotte.

Da esempi di questo genere dobbiamo trarre ammaestramento oltre che sostegno per le nostre teoresi metapsicologiche. Nel caso in questione, dunque, possiamo inferire che anche un sistema già energeticamente super-investito è in grado di accogliere un ulteriore afflusso di nuove energie, e di convertirlo in un investimento quiescente, in altre parole di legare psichicamente le cariche energetiche. Un sistema è capace di legare energie con tanta più forza quanto più grande è la sua carica energetica in condizioni di riposo; e, inversamente, quanto più limitata è la sua carica energetica, tanto minore sarà la sua capacità di ricevere l’afflusso di nuove energie e tanto più disastrose saranno le conseguenze della breccia nello schermo di protezione contro gli stimoli.