Dario Fabbri – La cifra culturale in geopolitica
Noi immaginiamo che – sempre il nostro pregiudizio – in fondo, se fossero liberi, vorrebbero essere come noi, dai, per forza. Qua si vive meravigliosamente, siamo liberi – e questo grazie a dio è pure vero… Perché non vivono come noi? O qualcuno glielo impedisce, o non l’hanno capito. Però che non l’abbiano capito, i russi, è un po’ strano, […] perché i russi non sono proprio un popolo di sprovveduti, come tasso d’istruzione, spesso ce l’hanno più alto del nostro, come percezione di sé, ce l’hanno altissima, possibile che non capiscono le regole della democrazia liberale di stampo occidentale? Insomma, è un po’ strano. Dici, beh, allora, è questo regime putiniano che impedisce loro di essere come noi. Noi questo lo crediamo davvero, infatti i discorsi che si fanno sono: «Certo, se cadesse Putin la guerra in Ucraina finirebbe.» Molto divertente, però c’è chi lo dice sul serio. Oppure: «Se cadesse Putin, il suo oppositore principale creerebbe una Russia a nostra immagine e somiglianza.» No, nessuna possibilità, però noi lo crediamo davvero. Non ci balza mai in testa la possibilità che – può essere doloroso – gli altri non vogliono vivere come noi. E non si sono sbagliati: lo fanno coscientemente. Ed è la stragrande maggioranza dell’umanità. Non è una minoranza: lo siamo noi. Se dovessimo contare gli occidentali propri nel mondo – ovviamente un calcolo aleatorio, perché il discrimine non si capisce mai quale sia – mah, se dovessimo contarli staremmo sui? Cinquecento? Seicento milioni? Il mondo è composto da più di sette miliardi di persone. Tutti scemi? Tutti arretrati? Tutti incapaci di incidere sulle loro vite da un cattivone alla testa? […]
Puniscono il loro regime non quando è liberticida – perché la democrazia per come la intendiamo noi non l’hanno mai conosciuta, non ne hanno nostalgia, anzi, la considerano coloniale, la pensano soltanto nostra: nel momento in cui arrivasse da loro vorrebbe dire che è stata imposta dall’Occidente, che è un luogo dell’anima ma per loro esiste davvero. […]
Ciò che non perdonano ai loro regimi, che cos’è? Farsi umiliare all’estero. Questo sì, questo non glielo perdonano. […] Campano di gloria. […] vivono della sensazione di avere un grande impero, di essere una grande potenza, di essere rispettati e temuti dagli altri – cioè, pensate qualcosa del genere alle nostre latitudini: impossibile, proprio impensabile lontanamente. Ed è ciò di cui vivono anche gli americani, gli iraniani, i turchi, i cinesi… Tutte le grandi potenze del pianeta campano di questa roba qua, eh; per oscena che a noi possa sembrare, è ciò che muove il mondo.
I russi fanno la rivoluzione quando i loro governi – tutti dittatoriali, non hanno mai conosciuto nessuno che non lo fosse – […] perdono le guerre, quando ci fanno umiliare all’estero, quando non si fanno temere, quando non si fanno rispettare. Se dovessimo tradurre in termini più mangiabili il senso di gloria che hanno gli imperi: vogliono stare nei libri di storia. Questo vogliono. Senza denti, morendosi di fame, col fucile alla caviglia, senza diritti, ma nei libri di storia. Ciò di cui gli esseri umani hanno sempre campato. Sempre. Anche qui, eh, esattamente dove parliamo adesso, fino a qualche tempo fa.
E non vuol dire che gli altri sono arretrati perché noi siamo andati oltre: noi viviamo in un lusso, viviamo in una bolla, e la storia quella vera, quella atroce tornerà anche qui, ma noi siamo convinti di no, siamo convinti che il processo sia esattamente il contrario.
[…] gli altri sono la stragrande maggioranza del pianeta; e non sono scemi. Vivono peggio di noi? Molto peggio. Viviamo meglio noi? Molto meglio: abbiamo più diritti, siamo più benestanti, facciamo vite che hanno qualità superiori… (ndr eheh…) Ma loro non farebbero a cambio. Il che non è proprio un dettaglio. E soprattutto, udite udite – e questo per noi è oltraggioso – non si curano della nostra opinione. […] Ai cinesi della nostra opinione non interessa niente. […] Agli americani nemmeno, senza andare troppo lontano. Ai turchi ancora meno. Per i turchi tutto il mondo è turco […] Nel loro vagare per il pianeta hanno adottato l’islam, che non è religione dei turchi originali […]: l’adottano, perché? Perché ha una matrice universalistica, serve all’impero: è una religione giovane, massimalista, universalistica; la fanno propria, e creano poi l’impero ottomano, e convertono – sempre con la spada – gli altri all’islam, ad esempio nei balcani, la Bosnia e l’Albania, e non solo.
A un popolo così, quanto poteva durare nella sua, come dire, mimica occidentalistica, quella teoricamente voluta da Atatürk alla fine della prima guerra mondiale? Poco, e poco è durato: il tempo della guerra fredda, quando per terrore dei russi, grandi nemici dei turchi, si aggrappano alla NATO, cioè agli Stati Uniti. Crolla l’Unione Sovietica, i turchi smettono di essere fintamente occidentalisti: non serve più…
Ma noi anche lì ci eravamo convinti: «Eccoli, beh, hanno capito anche i turchi! Siamo il faro dell’umanità, e anche i turchi l’hanno capito.» Infatti, quando poi i conti non tornano diamo la colpa al cattivone di turno, in questo caso Erdoğan; perché se non ci fosse Erdoğan i turchi sarebbero un grande Lussemburgo… […] Non è così; non ci pensano proprio.
[…]
Non c’è niente di più divertente dell’espressione “comunità internazionale”, non so se l’avete mai sentita, è una cosa da perdere la testa, è come “governance” […] La comunità internazionale siamo sempre e solo noi, non c’è nessun altro dentro, siamo sempre l’Occidente, però è applicata a tutti. Specialmente il campo statunitense in questa fase temporale, altrimenti solo l’Occidente nelle sue varie declinazioni.
[…] Infatti, se voi leggete molti dei nostri media, leggete espressioni di questo tipo: «La Russia è isolata nel mondo.» Immagino le abbiate sentite, non so chi di voi ha di queste perversioni che legge i quotidiani ma, chi ancora si ostina… […] Poi andiamo a vedere il voto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, in cui una mozione di condanna dell’aggressione russa all’Ucraina recita in questo modo: «Condanniamo l’aggressione.» Bisogna votare a favore o contro, o astenersi. E scopriamo […] che sommando le popolazioni che vivono nei paesi che non hanno condannato l’invasione russa – o addirittura hanno votato a favore dell’invasione russa – c’è più o meno la maggioranza dell’umanità. Già soltanto indiani e cinesi che non condannano per due volte consecutive all’ONU l’invasione russa, fanno quasi tre miliardi di essere umani. Difficile sentirsi soli con tre miliardi di esseri umani. […] quasi tutti questi paesi, i cinesi compresi, non hanno nessuna simpatia per la Russia, non considerano per niente l’invasione giusta – o se ne disinteressano totalmente o non la possono considerare giusta, perché peraltro sono paesi che hanno subito il colonialismo – ma allora che cosa c’è? È proprio quel punto contro l’Occidente che li infiamma, che li eccita: tra la Russia e l’Occidente scelgono comunque la Russia, anche se ha torto marcio come in questa situazione.
[…] Se poi aggiungiamo che tra i paesi che obtorto collo hanno votato la condanna dell’invasione russa c’è il Brasile, […] perché sennò fragile com’è economicamente finisce male con gli Stati Uniti, poi però appena la vota dice: «La colpa è di Zelens’kyj che sta facendo uno show.»
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E qui l’obiezione altrettanto occidentalistica è «Beh, però, i governi che hanno votato non sono democratici.» Quindi non rappresenterebbero la volontà della popolazione. […] Ma l’India? L’India è il paese democratico più grande del mondo – lo definiscono così gli americani, eh. […] Non solo: l’idea che soltanto i governi democratici rappresentino il consenso, come ho detto è un nostro pregiudizio. […] In Italia la democrazia liberale, se escludiamo Giolitti, arriva nel ’46. Gli esseri umani, su questa penisola, esistono da millenni: se noi ci convinciamo che il consenso appartenga soltanto alle democrazie […], dovrebbe significare che quei milioni di milioni che hanno vissuto per millenni su questa penisola non hanno mai avuto voce in capitolo su niente di niente. […] E a volte ci dimentichiamo che ricordo di sé i paesi occidentali hanno lasciato nel pianeta, al punto che in una guerra chiaramente d’aggressione, in cui c’è un soggetto che ha torto marcio e un altro che è stato aggredito, il mondo non occidentale vota per partito preso contro l’Occidente.
[…]
Portare lo sguardo verso gli altri significa esattamente questo: mettersi un minimo in gioco, abbandonare i pregiudizi, cioè smettere di essere turisti, e diventare possibilmente viaggiatori; ed è molto faticoso, perché come detto a volte dal viaggio non si torna nemmeno […] Dal turismo si torna sempre, tranne in casi davvero sfortunati: al massimo ti perdono le valige. Nel viaggio potresti perdere te stesso, che è un po’ diverso. Però una volta nella vita, anche solo per provare, un viaggio… Uno, ne basta uno nella vita: si può viaggiare una, due volte al massimo, nella vita, eh; a meno che uno non lo faccia di mestiere, il viaggio vero lo fai una volta.
[…]
I giovani quelli veri, nei paesi dove esistono davvero, dove sono maggioranza, non sono saggi per niente. Da noi – forse è anche meglio – lo sono per davvero: si battono per i diritti, per il futuro… Il futuro è l’anti-giovane: i giovani veri non pensano mai al futuro; un giovane vero vive solo nel presente, la morte non esiste per un giovane vero. Il futuro è un concetto direttamente legato alla morte: io penso al futuro perché so che prima o poi – più prima – dovrò morire. Quindi immagino il dopo di me: «Che cosa lascio.» Un giovane non può neanche lontanamente concepire questo se non ha, evidentemente, assimilato atteggiamenti da anziano. E capita spesso in una società dove la minoranza della minoranza assume gli atteggiamenti della maggioranza. I nostri giovani hanno gli atteggiamenti della maggioranza, cioè hanno atteggiamenti da anziani. Quindi sono più saggi, sono più anziani; e infatti si battono per questioni giuste, ma che non appartengono storicamente ai giovani: i diritti, il futuro, l’ambiente… I giovani?! I giovani veri, cioè dove sono maggioranza, si battono per questioni per noi insospettabili. Sono prepotenti e violenti, pensate un po’. Come tutti i giovani.
In Iran i giovani sono maggioranza. Se li lasciassimo fare – evidentemente se lo meriterebbero, sarebbe una loro decisione – non creerebbero una società simile alla nostra. Ne creerebbero una massimalista, non minimalista come la nostra. Non la creerebbero pensante il futuro, ma tutta centrata sul presente, probabilmente sulla prepotenza, non sui diritti. Perché sono giovani. […] La rivoluzione del 1979, la rivoluzione islamica, l’attuale regime osceno dell’Iran, è stato creato da giovanissimi; erano tutti studenti liceali e universitari. È sempre stato così.
Noi, dall’Occidente, dove i giovani sono la minoranza della minoranza, abbiamo un’idea dei giovani che non esiste nel resto del mondo, perché non ce li abbiamo. […] Hanno un atteggiamento non giovanilistico, certamente più saggio, più nobile, ma non da giovani. E anche questo noi fatichiamo a comprenderlo. […] trascendere le nostre categorie epistemologiche, cioè di metodo, di sguardo sulle cose. Sono solo nostre, ma che noi attribuiamo al resto del mondo: i conti naturalmente non tornano, e noi battiamo i piedi: «Ma dove stanno i conti? Dobbiamo riprovare.» Oppure cominciamo a dare la colpa a qualcuno: c’è sempre, come detto, il cattivo; poi arrivano i complotti…