Alberi
La costruzione dei parchi era necessaria. Quest’aria la possiamo respirare soltanto noi: ci siamo adattati in fretta, al contrario degli animali e delle piante. Utilizzando la tecnologia, altrimenti il nostro corpo non ce l’avrebbe fatta. A qualcuno, insomma, dispiaceva che flora e fauna scomparissero, così sono nati i parchi. In questa metropoli non c’è altro che la cupola, ma altrove ci sono strutture molto più estese, come ho potuto spesso ammirare navigando.
Ora, dopo tanto tempo, posso rivedere gli alberi. L’ultima volta ero ragazzo. Gli alberi, magnifici simboli di esistenza che è perché è, di sopravvivenza feroce e lenta per puro dettato della natura, non per scelta e convenzioni. Eppure là dove è stato tagliato un ramo, la ferita, corteccia ripiegata su se stessa, forma un foro che somiglia a quello di donna. Cerco di osservare il resto della pianta, nonostante tutto. Negli anni questa entità , dal nulla, s’è ingrossata ed elevata fino al cielo. Tanta trasformazione per diventare un palo fiero ed enorme, per vedere vita attorno a sé, rimanendo sempre impassibile, immobile e superiore a qualsiasi essere. Per sentire mani e gambe arrampicarsi sui propri rami. Secoli di vanità , di vite che passavano. Chi si soffermava a osservare il grande vecchio, chi passava oltre, chi addirittura strappava le sue foglie per dispetto o per noia. E infine, un cielo rosso, poi grigio. Niente più persone, per molto tempo, finché un giorno, sopra di lui, si innalza un tetto di vetro, a proteggerlo per il resto dei suoi giorni.
Abbraccio la grande pianta.
Il mio corpo sudicio è quasi un affronto, ma la sua storia è immensa e la sua esistenza mi racchiude. Mi sposto, c’è una betulla, così dice il cartellino. I suoi rami sventolano come una bandiera che segnala lo sbarco su un mondo nuovo. La osservo un poco, poi volgo lo sguardo ad altre piante. Ma sento un silenzio troppo tetro e mi distraggo, mi accorgo che sono un uomo senza un desiderio. Il sole mi colpisce, scalda la pelle rovinata dal freddo, mi rigenera il corpo, ma sono ancora un uomo senza un desiderio. Fogliame che dovrebbe ammaliarmi, ma gli odori sono disturbati dal fumo delle macchine lontane. Sono un insetto in un piccolo paradiso che cerca invano di consolarmi, di coccolarmi. Queste piastrelle dure mi costringono ad alzarmi. Prendo la strada battuta, la seguo. Le mie orecchie si sforzano di catturare i suoni della natura: li isolano, li analizzano; ma sono solo vibrazioni. Senza volerlo finisco per prestare più attenzione a quel sibilo infinito che è l’industria lontana. Muovo qualche ramo. Sono solo. Torno indietro.