Angolo di visione
Durante il periodo delle scuole superiori, all’ora di ginnastica all’aperto, mi si avvicina A. e mi chiede di Dio, siccome sono ateo, per poi finire sulla morte, dicendomi che non gli piace dover credere che dopo non ci sia nulla. È un ragazzo fidanzato, che va bene a scuola, che ha i suoi amici, che è di spirito allegro. Io gli dissi, già allora, che il mio “non vivere” dissolveva la paura della morte, e che lui doveva continuare ad accettare quello che è il compromesso della vita: o il fatalismo con la repressione, la depressione e la noia esistenziale, oppure la vita con le sue numerose difficoltà e la paura della morte. La necessità di un ragazzo solare di avvicinarsi un giorno al più inetto della classe per discutere quell’argomento è abbastanza significativa, ma rappresenta solo uno di tanti simili episodi.
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Si nasce con qualcosa a noi legato, con qualcosa che io chiamo percezione. Poi si cresce e pian piano questa percezione diviene coscienza. Crescendo ancora, durante le scuole elementari, questa consapevolezza fa un passo fondamentale: allarga il suo angolo di visione incontrando la morte e il buio che la segue. Questo è un avvenimento fondamentale nella vita di una persona, pur se magari qualcheduno non lo ricorda, che può essere posticipato a causa delle religioni o di altre distrazioni ma prima o poi arriva. A quel punto l’individuo è costretto, pur nel suo cervello ancora giovane, a rivalutare il significato del sé. Cosa da lì in poi accade è certamente opera del carattere, formato da pura genetica/biologia e trasformato dagli eventi vissuti, ed è ovviamente differente da persona a persona. Quello che la maggior parte della gente fa da lì in poi, per tutta la vita, è focalizzarsi su determinate cose dando a esse una determinata importanza (tali siano famiglia, amante, lavoro, religione, pallanuoto o giardinaggio) riuscendo così a placare la consapevolezza della morte e del nonsenso. Ogni tanto, tuttavia, la paura della morte viene a capo. Gli individui, anche quelli religiosi, esprimono di tanto in tanto questa preoccupazione, talvolta in modo serio, spesso in modo ironico e leggero per sdrammatizzare e nascondere (anche a loro stessi) la natura importante della questione. Altre persone non riescono invece a porre altri elementi al di sopra della Morte e della Vanità. Questi individui e il loro ego smisurato quasi solipsista raggiungono nel corso della loro vita un angolo di visione delle cose ampio e soprattutto persistente; ciò non permette di dedicarsi a una qualsiasi attività/pensiero senza la presenza oppositiva del nichilismo e del fatalismo; a quel punto, retrocedere diviene impossibile a causa di questo particolare stato mentale: a livello psicofisico c’è l’accidia edonistica radicata, a livello psico-filosofico c’è la verità assoluta delle conclusioni – assoluta nel contesto cosciente-logico-razionale-esistenzialistico, certamente non in senso divino o che altro; assoluta poiché si basa sulla morte stessa, elemento irrefragabile. Ci sono molte altre “verità”, ma esse trattano:
- un angolo di visione meno ampio: visione non universale ma specifica, sia di certi argomenti filosofici che di realtà quotidiana;
- un angolo di visione esageratamente largo: puro trascendente senza interazione/applicazione col reale (Dio, etc.).
Da vecchi, vissuta la propria vita, fatte le esperienze, conosciuto ciò che c’era da conoscere e riconoscendo più palpabile la minaccia della morte, la mentalità si avvicina a quella dei “fedeli” houellebecqiani che già in gioventù s’arrendevano alle cose e mangiavano vanità a colazione. D’altra parte Svevo non parlava a caso di senilità mentale. Non è soltanto la biologia, il corpo stanco, si è proprio stufi.
Questo tipo di consapevolezza sicuramente è aiutata dall’eccesso d’informazione e dal capitalismo in generale – una società che cammina veloce verso la distopia certamente fa la sua parte.
Vedo Mouth to Mouth e resto colpito tra l’altro dalle coreografie con cui la regista voleva descrivere le emozioni dei protagonisti; torno a riflettere su un ambiente utopico, e inevitabilmente ripenso alla storiella dell’irlandese del buon Giacomo.