Quel giorno sulla Luna – Oriana Fallaci
[«…] E al ritorno stia certa che non scriveranno poesie. Se ne fossero capaci, del resto, non andrebbero sulla Luna. E, soprattutto, non ne tornerebbero indietro.»
Più o meno ciò che sostiene la moglie di un astronauta che andrà sulla Luna con un volo successivo: «Mio marito è un robot. Non lo era quando lo sposai, lo è diventato negli ultimi anni ad allenarsi per la Luna. E comprendere tale cosa è stato un gran dolore per me, allo stesso tempo un sollievo. Se egli non fosse così, non lo rivedrei più: bisogna essere robot per andare sulla Luna e tornare sulla Terra».
[…] Il mondo che la tecnologia ci impone non è un mondo di individui impegnati nella ricerca del bello, è un mondo di automi ordinati nella ricerca del successo: e la più straordinaria delle avventure umane, la Luna, si basa su una collettiva operazione aritmetica.
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[…] Ho dimenticato infatti di dire che Aldrin è colonnello dell’aviazione, ha studiato a West Point e, da buon militare, credeva al sacrosanto diritto degli Stati Uniti a intervenire in Vietnam, inoltre considerava il fatto di non poter bombardare Hanoi come il sacrificio più grosso che potesse offrire sull’altare della Luna. Il dolore che tale sacrificio gli dava era compensato soltanto dalla gioia d’aver rovesciato quintali di bombe sulla Corea del Nord: sessantasei missioni aveva compiuto col suo F 86 e ne andava fiero come delle sue medaglie. Insomma, contrariamente a Neil Armstrong, la guerra non era per lui un’occasione per volare aeroplani: era un cosciente dovere verso la bandiera. «Buzz, non ci pensi alle creature che hai ucciso?» gli chiesi. «Certo, erano miei nemici.» «Anche i bambini di quei villaggi, Buzz, i vecchi, le donne?» «Certo.» «E vorresti fare lo stesso in Vietnam e ti dispiace di essere qui?» «Certo.» Quando fra cento anni o duecento o mille o duemila celebreremo lo sbarco sulla Luna, faremo bene a ricordarci che i primi due uomini sopra la Luna furono due uomini che avevano uccciso un mucchio di uomini in guerra.
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[…] Julian Scheer, capo delle relazioni pubbliche della NASA a Washington. «Generalmente parlando, tutti e tre sono consapevoli d’essere già stati innalzati al ruolo di eroi. Quindi stabilire se gli piacerà essere eroi o se si sentiranno eroi, è una discussione accademica. Saranno eroi che gli piacia o no, che si sentano tali o no. E per la semplice ragione che il mondo vorrà così, imponendo loro l’etichetta di nuovi Cristoforo Colombo. Chiaro che le conseguenze di questa imposizione cambieranno da uomo a uomo: possiamo predire fin d’ora chi si comporterà meglio e chi peggio. Ma io sono ottimista. Ritengo che tutti e tre accetteranno con riluttanza e con grazia l’obbligo di finire nella storia da grandi uomini.»
Lo saranno grandi uomini, eroi? Lo sono? Ovvio che no. Come individui, lo abbiamo già visto, contano relativamente. Il caso non è stato generoso. Come navigatori ed esploratori, i loro meriti sono limitati e ogni paragone con Cristoforo Colombo è semplicemente grottesco. Colombo era solo. Il viaggio alla ricerca delle Indie l’aveva ideato da solo, se l’era organizzato da solo, se lo fece da solo contro il parere di tutti: e il parare di tutti era che la Terra fosse piatta, che a un certo punto finisse per farlo cadere nel nulla. (ndr nota leggenda metropolitana, in realtà già gli antichi greci sapevano della sfericità del globo, avendo fatto esperimenti con le ombre, le stelle, etc.; l’impresa di Colombo era comunque azzardata perché avendo dubbi sulle reali distanze, se l’America non fosse esistita, non sarebbe mai arrivato fino in India) Armstrong, Aldrin e Collins invece sanno benissimo cosa vannno a trovare: minuto per minuto, metro per metro. Di questo viaggio certo non ideato da loro e non organizzato da loro, essi non sono che uno strumento prescelto; un’appendice della macchina. Ma v’è di più: per l’intera durata di quel viagggio essi non saranno mai soli: come è successo per gli altri voli, saranno seguiti da Terra dal momento della partenza a quello del ritorno. Al Centro Controllo di Houston li terranno in contatto quattrocento scienziati, medici, direttori di volo, astronauti, tecnici, e fuori del Centro Controllo ce ne saranno altri duemila. Ad esempio tutti gli ingegneri che hanno partecipato alla costruzione della capsula Apollo, del LM: su ogni vitolina, su ogni filo elettrico, su ogni smarrimento essi saranno protetti consigliati aiutati. L’unico rischio resta per loro quello di morir sulla Luna. Ma è un rischio così minimo, ormai, così scartato da tutti, che a un certo punto ti chiedi se ci voglia proprio tanto coragggio ad andar sulla Luna. Se ci volesse tanto coraggio, perché gli astronauti avrebbero preteso e ottenuto «il novantanove di probabilità » di tornare sulla Terra intatti? Davvero non vedo nulla di particolarmente eroico in questa impresa. L’ultimo soldatino che va all’assalto di una tincea, l’ultimo vietcong che si getta contro un carro armato con tre pallottole dentro il fucile, è mille volte più coraggioso degli astronauti che vanno sulla Luna.
Ma ammettiamo pure che non ce la facciano, e muoiano. A quasi mezzo milione di chilometri dalla Terra, su un pianeta senza vita e senza atmosfera, con un calore di centoventi gradi. Una fine spaventosa, d’accordo. Però dimmi: se tu fossi un uomo ambizioso come Neil Armstrong o vanitoso come Buzz Aldrin, e ti dicessero che un giorno di luglio del 1969 sei condannato a morire, che morte sceglieresti? Io, al posto loro, la morte sulla Luna. Pensa che morte: dinanzi agli occhi di tre miliardi di persone che sanno e ascoltano e pregano e piangono per te. Dinanzi alle camere della televisione, dinanzi alla radio che trasmette la tua epopea, il tuo sacrificio. Per la Storia, gli altari. E allora chi è più coraggioso, chi è più eroe: il soldatino e il vietcong che muoiono come cani, senza che nessuno lo sappia, senza che nessuno li pianga, di notte, sotto le bombe, dentro una trincea, oppure Neil Armstrong e Buzz Aldrin? La questione è che il concetto dell’eroismo s’è ormai distorto. Perché s’è fuso con il concettto di successo, ed eroe è diventato colui che ha successo: anche se il suo successo è l’estremo risultato di un lavoro collettivo o di una impresa resa possibile dall’impiego di miliardi. Certo che ad Armstrong, Aldrin, e perfino Collins, la patente di eroe non gliela leva nessuno. E le conseguenze saranno tre mostri che il mondo invocherà come angeli. La sola speranza è che ciò li trasformi da robot in creature, e che il tempo li ridimensioni, gli spieghi che sono soltanto ciò che sono. Come dice Pascal, né mostri né angeli: ma uomini e basta.
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[…] E con ciò, passiamo a osservare il paesaggio lunare che Armstrong e Aldrin vedono dai finestrini del LM dopo la prova dei motori.
È un paesaggio veramente brutto. Tutti quelli che l’hanno visto prima di loro, dall’alto, si trovano d’accordo nel dire che è la cosa più brutta del creato. Bill Anders lo definì repellente: «C’è qualcosa di repellente, sulla Luna. Qualcosa di cattivo. Qualcosa che ti respinge. Sono contento di non andarci più.» E non dimenticare che, dopo il volo sull’Apollo 8, Bill Anders ha dato le dimissioni da astronauta e ora lavora come impiegato alla NASA di Washington. Jim Lovell ammette, sì, che come paesaggio potrebbe definirsi «interessante». Ma aggiunge: «Non vorrei viverci neanche cinque minuti. Quella spiaggia sterminata senza mare. Brrr!». Quanto a Frank Borman, ne parla con la fronte aggrottata e una smorfia sulla bocca: «È un luogo più che brutto, è un luogo dimenticato da Dio. Così desolato… desolato… Ceneri grige, capisci, e nient’altro. Ti fa pensare all’inizio degli inizi, alla Genesi, con un brivido di orrore.» Anche Borman, dopo l’Apollo 8, ha lasciato il mestiere di astronauta: d’ora innanzi dirigerà il Centro stazioni spaziali. Da Terra. E che dire di Cernan, di Stafford e Young? Gli chiedi della Luna e ripetono: «Com’è bella la Terra!».
Quell’assenza di colori, ad esempio. Dai finestrini del LM non vedi che nero e grigio, tutt’al più marrone, nero il cielo e grigia la Luna, e sul grigio piomba una luce che non ha niente a che fare con la nostra luce perché la nostra luce è calda, gialla, azzurrina: sulla Luna invece è livida, fredda. Luce e basta. «Per immaginarlo,» dice il professor Hess, direttore scientifico della NASA «bisogna pensare a una stanza dalle pareti nere e il soffitto nero, illuminata da una potente lampada al neon.» La lampada è il Sole. Ma se nel nostro cielo il Sole è una gran fiamma diffusa, nel cielo lunare esso è un punto che ha le dimensioni di un centesimino: diciamo il fascio concentrato di luce che usano gli oculisti per studiarti la cornea. Tutto è così diverso, irreale. E cosa fanno Armstrong e Aldrin dopo quel primo contatto con l’irreale? Si mettono a dormire. Prima mangiano la razione stabilita di cibo spaziale e poi si mettono a dormire.
L’idea originale era che, appena giunti, aprissero lo sportello e scendessero. Ma in seguito il dottor Berry e Deke Slayton decisero che fosse più saggio fare una dormita: «Per distendere i nervi e preparare il corpo».
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Cape Kennedy, luglio ’69
(ndr mercoledì 16 luglio, Oriana Fallaci, come inviata, al telefono con la redazione de «L’Europeo»)
[…]
– C’è anche un lato volgare, vuoi dire.
«Ma certo. È inevitabile, no? Certo che è volgare ciò che sta accadendo nei negozi dei ricordini: come è volgare ciò che accede a Lourdes nei negozi dove vendono i santini e le statuine. L’uomo, dice Pascal, non è né angelo né bestia ma angelo e bestia: e questo viaggio sta per essere compiuto dagli uomini, non dagli angeli. Gli uomini sono quello che sono: vogliono far soldi anche su Lourdes e sulla Luna. Non sono buoni, o non spesso. Ma se aspettassimo di diventare buoni per fare le cose, non faremmo mai nulla: sì o no? Tu parli di volgarità , io parlerei piuttosto di bene e di male: lo sai che anniversario è oggi? Lo scoppio della prima bomba atomica ad Alamogordo. Quando Fermi ed Oppenheimer e gli altri provarono l’ordigno terribile che fu usato poi a Hiroshima. Gli uomini sono così: inventano la bomba atomica, uccidono con essa centinaia di migliaia di creature, e poi vanno sulla Luna. Né angeli né bestie ma angeli e bestie. Io non me ne dimentico neppure quando mi lascio commuovere dall’immensa stella che chiamiamo razzo Saturno. E penso che in questo momento centinaia di creature stanno morendo in Vietnam, e che, nel momento in cui il razzo si staccherà dalla Terra e tutti grideranno al miracolo, almeno una creatura o dieci creature moriranno uccise da una pallottola, da un colpo di mortaio… Meno quattro, meno tre, meno due, meno uno, e il razzo si prepara a partire, un uomo si prepara a morire… È atroce. Eppure sulla Luna bisogna andarci lo stesso. E chissà che non serva a migliorare un poco gli uomini, a farli essere un poco più angeli e un po’ meno bestie…» (ndr è il 2024 mentre trascrivo queste righe e… Mi sa tanto di no)
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Houston, Texas, luglio ’69
Ora che lo spettacolo paradossale è finito, il dramma concluso, e i confini della nostra intelligenza e della nostra responsabilità si sono allargati fino al Mare della Tranquillità , ci sentiamo come assuefatti all’idea di possedere la Luna e quasi sorridiamo delle nostre ansie e dei nostri timori: non era così difficile, dicono alcuni, si accende un fiammifero e via. Ci si abitua a tutto, anche al miracolo d’essere usciti dalla nostra prigione di azzurro per approdare a quell’isola brutta: presto ce ne scorderemo, come abbiamo scordato il miracolo del primo pesce che uscì dalle acque per approdare alla terra e diventare un uomo. Ripetere la sfida non ci sembra più un rischio blasfemo, e della meravigliosa avventura non resterà presto che una carnevalata intorno a due piloti cui abbiamo già regalato la patente di eroi, l’immagine sui francobolli, il nome nei libri di scuola, un posto nella storia. Forse il successo ci ha fatto perdere il senso delle proporzioni, forse ciò che è avenuto è troppo grande per essere giudicato da noi: così come quel pesce non si rese conto di uscire dall’acqua per diventare uomo, noi non ci rendiamo conto di avere toccato un altro pianeta per diventare qualcosa che non sappiamo nemmeno immaginare. Il giudizio spetterà ai figli dei figli dei nostri figli. A noi contemporanei, a noi spettatori, resta solo da narrare ciò che abbiamo visto e udito ora con orgoglio ora con vergogna. Giacché siamo composti dell’uno e dell’altra, e anche nel viaggio alla Luna gli uomini hanno dimostrato la loro bellezza e la loro bruttezza, che è come dire la loro umanità . […]